L'asino dei galli di Cibele - Fedro

Anna Mercurio 20 Settembre 2015
Morale della favola: Chi nasce infelice non solo trascorre una vita triste, ma anche dopo la sua morte è perseguitato dalla sventura.
Con questa fiaba dal titolo "L'asino e i galli della Dea Cibele", lo scrittore e favolista romano, Gaio Giulio Fedro, ha voluto dimostrare che in genere chi nasce nella disgrazia non solo da vivo viene perseguitato da un triste destino, ma anche da morto la ria sorte non smette di accanirsi contro di lui.

Quando i galli di Cibele andavano in giro a chiedere l'elemosina alla gente, spesso portavano con loro un asino da soma sulla cui groppa caricavano il basto con un pesante bagaglio.

Dopo alcuni anni il povero animale morì sofferente a causa delle tante fatiche e le tremende percosse ricevute, quindi fu scuoiato dagli stessi sacerdoti e della sua pelle ne ricavarono tamburi. Quando i galli ritornarono in giro a chiedere la questua senza l'asino, la gente volle sapere che cosa ne avessero fatto del loro amato animale. Essi risposero così: "Egli credeva col trapasso di aver finito le sue sofferenze, ma ecco che anche da morto è caricato di botte".

Nota: I "galli di Cibele" erano i sacerdoti del tempio dedicato alla Dea Cibele. Essi erano chiamati "galli" o "eunuchi", poiché venivano evirati. La castrazione dei religiosi avveniva nel momento in cui si accingevano a prendere i voti.
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