Il vecchio leone, il cinghiale, il toro e l'asino - Esopo
Anna Mercurio 17 Settembre 2015
Morale della favola: Quando un uomo cade in disgrazia, anche il più vile si approfitta di lui.
Nella foresta viveva un leone forte e robusto. Il suo ruggito era così potente che non appena lo udivano, tutti gli animali correvano a nascondersi. Gli anni passarono e il leone divenne vecchio e debole, sfinito dagli acciacchi e senza più energie.
Il re degli animali sentiva oramai che la sua ora era suonata. Salutò il branco e silenziosamente si allontanò per andare a finire i suoi giorni con dignità in un posto tranquillo.
Mentre inerme giaceva a terra apprestandosi ad esalare il suo ultimo respiro, s'accorse di un cinghiale che arrivava in corsa sfrenata a testa bassa verso di lui. Non ebbe la forza di spostarsi, perciò si prese un terribile morso da quell'animale dai denti lunghi e aguzzi.
"Questo vale per ciò che hai fatto a mio padre", disse il cinghiale affondando i denti nella carne del vecchio leone ormai moribondo. Vedendo ciò, gli altri animali accorsero a frotte. Tra tutti si fece avanti il toro che gli diede una testata, perforandolo con le sue corna aguzze. Infine, arrivò l'asino a cui non pareva vero di avere davanti a sé, inerme, il temuto nemico.
Il somaro si girò di spalle e di scatto sferrò un possente calcio con gli zoccoli alla testa del povero leone, che, morendo, riuscì a malapena a dire: "Quando ero giovane, forte e temuto, tutti mi onoravano. Bastava la mia sola presenza per incutere paura. Con l'arrivo della vecchiaia ho perso la forza, il potere e anche l'onore. Ho dovuto sopportare mio malgrado gli oltraggi dei forti, ma questo calcio ricevuto da te che sei un errore della natura, è come se mi uccidesse due volte".
Il re degli animali sentiva oramai che la sua ora era suonata. Salutò il branco e silenziosamente si allontanò per andare a finire i suoi giorni con dignità in un posto tranquillo.
Mentre inerme giaceva a terra apprestandosi ad esalare il suo ultimo respiro, s'accorse di un cinghiale che arrivava in corsa sfrenata a testa bassa verso di lui. Non ebbe la forza di spostarsi, perciò si prese un terribile morso da quell'animale dai denti lunghi e aguzzi.
"Questo vale per ciò che hai fatto a mio padre", disse il cinghiale affondando i denti nella carne del vecchio leone ormai moribondo. Vedendo ciò, gli altri animali accorsero a frotte. Tra tutti si fece avanti il toro che gli diede una testata, perforandolo con le sue corna aguzze. Infine, arrivò l'asino a cui non pareva vero di avere davanti a sé, inerme, il temuto nemico.
Il somaro si girò di spalle e di scatto sferrò un possente calcio con gli zoccoli alla testa del povero leone, che, morendo, riuscì a malapena a dire: "Quando ero giovane, forte e temuto, tutti mi onoravano. Bastava la mia sola presenza per incutere paura. Con l'arrivo della vecchiaia ho perso la forza, il potere e anche l'onore. Ho dovuto sopportare mio malgrado gli oltraggi dei forti, ma questo calcio ricevuto da te che sei un errore della natura, è come se mi uccidesse due volte".